venerdì 11 ottobre 2019

Federico "Chicchiccheddu" Chessa - Fantoni



Federico Chessa - Fantoni, noto anche come "Chicchiccheddu" per gli amici Sardi e "Cunobratos" per quelli Piemontesi, è stato naturopata, artigiano, poeta, guerriero Celta e Balare, oltre che un grande amico. Originario di Chivasso, si è spento alla giovanissima età di 39 anni, a Torino, l'otto ottobre 2019. Ci siamo conosciuti intorno al 2005, via internet, quando scrivendo sui vecchi forum sulla Sardegna avevamo entrambi espresso il desiderio di ricostruire un gruppo di rievocazione nuragica. Qualche anno dopo ho conosciuto Federico di persona, nel 2008-2009 a Sassari. Federico era nato e cresciuto in Piemonte, ma era di madre Sarda, e aveva parenti ad Ittiri. Gli amici della rievocazione celtica Piemontese, i "suoi" Taurini, lo chiamavano Cuno Bratos che significa "colui che è fratello del Cane". Durante questi undici anni di amicizia, Federico ha creato a Sassari un gruppo di rievocazione nuragica chiamato "Sardinia Balare", concentrato sulla rievocazione delle tribù Balari del Nord Sardegna nei secoli tra la colonizzazione punica e la romanizzazione. Questo blog è stato creato da lui come piattaforma atta a divulgare la storia di queste popolazioni della Sardegna antica, e io ho aiutato Federico a mandare avanti questo blog come ho potuto. Negli ultimi tempi Federico si era concentrato sulla poesia e sulla naturopatia. Aveva raggiunto finalmente il suo sogno, e sebbene Cico non fosse più al suo fianco da molti anni, penso fosse felice. Lo aveva sepolto in Sardegna in un santuario di cui solo lui conosceva la posizione. Sebbene le alterne vicende della vita ci avessero allontanato, anche a distanza siamo rimasti amici. L'ultima volta che ci siamo sentiti, qualche mese fa, Federico stava progettando nuove realizzazioni, gli ho promesso che l'avrei aiutato.
Spero di riuscire a mantenere quella promessa, anche ora che non ci sei più Federico, e di dedicare quel progetto alla tua memoria.
Spero davvero di riuscirci, un giorno.

Voglio ricordarti come in questa foto, sempre sorridente, con Cico al tuo fianco.
Mi mancherai caro amico, mi mancherà il tuo sorriso, sempre spavaldo nell'affrontare la vita, un monito per tutti noi.


Questa è una poesia scritta da Federico, riassume la condizione della nostra generazione, ma anche del suo essere Sardo e allo stesso tempo Piemontese, in bilico tra i due mondi in cui era cresciuto. Come Andrea Parodi, è stata la terra a sceglierlo e a chiamarlo a sé. Ti ricorderemo così Federico.

Tra le macerie della
mia generazione
mi siedo in Preghiera

in questo giorno
magico
molte persone come me;
che la mia voce si unisca
alla loro
perché insieme, con lingue
e colori diversi,
per quello preghiamo

Prego
perché sempre più persone
sappiano cogliere i frutti
della madre;
Prego
perché sempre più persone
sappiano respirare il blu

Prego per la mia terra
e la mia gente
per le persone cui voglio
bene; e anche per coloro
cui voglio male
perché la mia rabbia
non condizioni il tuo amore

Prego
per i miei padri
e i padri dei miei padri
per i resti della principessa a chiomonte
stuprata dai carri armati
per le torri di nur che ancora dormono
sotto isospettabili colline
Prego per gli anziani
i nonni e le nonne
che sempre più genti
sappiano ascoltarne le voci

Prego per i miei fratelli
e sorelle; per le donne
che lottano in miseria
per i popoli naturali, che sono
il cuore dell'umanità
per le madri delle riserve
per i bambini senza terra
nei ghetti di periferia

e ancora Prego per i miei figli
e i figli dei figli
e per coloro cui il cuore chiuso
non fiorirà mai
per quelli che agiscono in male
poiché anch'essi sono miei fratelli
padri o figli
e tutto è in relazione

e ora
che cambi un'era
o che il mondo si spenga
questa è la mia Preghiera
possa essa unirsi a quella
dei saggi
che in questo giorno magico
con me, Pregano
nel bene e nel male
che tutto scorra
e nulla rimanga uguale

"21 dicembre 2012" dalla raccolta "Sacro sacrilego immondo", 40 poesie di Federico Fantoni, stampato nel mese di ottobre 2014

"La poesia è l'anima della vita. Essa accompagna ogni momento, ci cammina accanto. Un poeta non fa altro che trasformarla in linguaggio, orale prima, agli albori dei tempi, e oggi, dove è difficile soffermarsi ad ascoltar parole, diventa lettere.
Ho iniziato a scrivere poesia come terapia. Per me è stata un traghetto, una guida, un Virgilio Dantesco, un amabile strumento per scoprire me stesso, per scandagliare le parti più profonde, meschine e abiette del mio animo senza uscirne sgomento o fuori di senno. Ma è stata anche un modo per portare alla luce le parti migliori, sepolte sotto cumuli di macerie fatte di rabbie represse, inconfessabili invidie, rancori indomabili. E mentre questi mostri uscivano, guariti e sublimati in vibrazioni di bellezza, scoprivo la mia capacità di amare, amare veramente, libero da ogni desiderio di possessione. Non avrei mai creduto, prima di aprire le porte alla poesia, di avere tanto amore, dentro di me.
Ma se scrivendo ottenevo lo scopo predetto, finalizzato alla mia esclusiva crescita individuale, dall'altro mi sono accorto che la funzione benefica della poesia non si limita a questo. La poesia infatti è viva e, come una nuova creatura assetata di nutrimento, deve trovare occhi disposti a leggerla, bocche a pronunciarla, orecchie per ascoltarla e, infine, cuori pronti ad accoglierla per essere anche loro liberati e guariti. Solo così essa può continuare a vivere, crescere e diventare matura, acquistando quindi la sua funzione collettiva, il suo scopo sociale.
Il poeta diventa dunque un tramite, un luogo di passaggio, uno strumento egli stesso. Per questo motivo rifuggo l'idea che le poesie mi appartengano, non voglio imprigionarle e tenerle per me. Loro sono di tutti e così, lasciandomi attraversare, le slancio nel mondo, dove libere si spandono come fate benefiche.
E qualsiasi beneficio ne abbia, altro non è che il loro ringraziamento, per avermi usato come tramite."

[foto scattata da Nico Salis durante il primo Piaghe Poetry Slam disputato nella Pizzeria Fanatic di Ploaghe il 20 novembre 2014]


Questo Blog non verrà più aggiornato e rimarrà in hiatus 
come ricordo, in memoria di Federico.

giovedì 19 maggio 2011

AD SIGNA MILITES IV, Balares & Keltoi

Come di conseuto la nostra associazione "Sardinia Balare" ha partecipato alla manifestazione di metà maggio, "Ad Signa Milites". Stavolta, poichè la vicenda si è focalizzata su un periodo e un ambientazione lontana dalla Sardegna, i fieri guerrieri Sardi non hanno potuto agire nei loro panni abituali, seppur non disdegnando di mazzulare, anche stavolta, gli "amici" Romani. Assieme ai due gruppi Celti invitati dall'organizzazione dell'evento, i Balari hanno animato il campo con le consuete attività. La notte si è svolto il rito di iniziazione dei nostri fratelli, con la consegna de nomi e delle armi personali, basato su uno studio sulla toponomastica svolto dall'associazione.
La manifestazione è continuata la domenica, con due battaglie campali di grande effetto visivo.
Salutati gli amici Celti, si è tornati alla vita di sempre.

Speriamo in un prossimo incontro, magari nei nostri soliti panni... di Orbace!

domenica 10 ottobre 2010

Sardegna Antiqua, la Tavola di Esterzili

Per un volume sulla Tavola di Esterzili
e sulle controversie tribali nella Sardegna antica



di Fernando Pilia


Nel marzo del 1866 il contadino esterzilese Luigi Puddu,
soprannominato "Pibìnca", mentre arava un campicello in località di S'e Munzu Franciscu, nella zona di Corti 'e Luccetta, già appartenente agli eredi di Pietrino Serra ora in possesso di Ermenegildo Loi), s'accorse a un tratto che il vomere di ferro del suo rustico e tradizionale aratro di legno aveva urtato contro qualcosa di duro e si era bloccato. Preoccupato per l'imprevisto ostacolo e incuriosito per l'incidente, allontanò dal solco i buoi aggiogati, si mise a scavare con la zappa e riportò allo scoperto una lastra di bronzo scolpita, in ottime condizioni, lunga 60 centimetri, alta 45 cm., spessa 5 mm. e del peso di circa 20 chilogrammi, costituita da metallo ben compatto e di ottima qualità, sagomata in tutti i lati.
L'ignaro scopritore di così importante documento storico, essendo analfabeta, come gran parte degli abitanti di Esterzili di quell'epoca, portò la tavola di bronzo in paese e la volle mostrare al parroco canonico Giovanni Cardia, presso il quale aveva buoni rapporti ed anche un debito di pochi scudi che il sacerdote gli aveva prestato. Tiu Pibinca accettò i due scudi d'argento, corrispondenti alla discreta somma di dieci lire, un piccolo capitale in quell'epoca di miseria e di recessione, e consegnò al parroco la tavola di bronzo. Il canonico Cardia, che aveva una certa cultura ed era in grado di valutare il pregio della scoperta, si mise in contatto con l'illustre archeologo canonico e senatore Giovanni Spano che si fece dare la lastra epigrafica, la esaminò attentamente, la studiò con interesse e la pubblicò, cedendola infine al Museo Nazionale di Sassari, dove la cosiddetta Tavola di Esterzili si trova ancora esposta bene in vista. L'iscrizione, incisa a caratteri capitali in venti sette righe, esprime il seguente contenuto:

Addì 18 marzo nell'anno del consolato di Otone Cesare Augusto. Estratto conforme, trascritto e collazionato da quanto contenuto nella tavola 5, capi 8, 9 e lO del documento originale del proconsole L. Elvio Agrippa e pubblicato da Gn. Egnazio Fusco, cancelliere del questore. Il giorno 13 di marzo il pro console Lucio Elvio Agrippa, sentite le parti in causa, ha reso pubblica questa sentenza: «Poiché il bene comune richiede che si debba tener conto di ciò che afferma la sentenza nella
causa dei Patulcensi e poiché Marco Giovenzio Rissa, uomo di grande autorità, procuratore dell'imperatore, molte volte ha ordinato che i confini del territorio dei Patulcensi si devono mantenere come erano stati fissati nella tavola di bronzo di Marco Metello, ritenendo inoltre che era disposto a condannare i Galillensi, i quali in molte circostanze avevano procurato il disordine con risse e atti arroganti e non avevano ubbidito al suo decreto, ma che tuttavia, in ossequio alla benignità dell'imperatore Ottimo Massimo, era ancora disposto ad avvertirli con un'altra ordinanza in maniera che stessero calmi rispettando questa giusta sentenza e prima dell'arrivo del mese di ottobre sgombrassero i territori dei Patulcensi rispettandone il libero possesso; che se intendessero con ostinata caparbietà continuare la provocazione opponendosi agli ordini, egli stesso era pronto a punire tutti coloro che intendessero provocare disordini; dopo che i Galillensi per la medesima causa si erano rivolti a Cecilio Semplice, uomo illustre, affermando che dai documenti dell'archivio imperiale erano disposti ad esibire un'altra tavola con gli atti di questa causa; dopo che egli avéva fatto sapere che la buona volontà lo spingeva ancora a dare ulteriore proroga per la presentazione delle prove e per questo aveva loro concesso altri tre mesi fino ai primi di dicembre, trascorsi i quali, se la carta non gli fosse pervenuta, egli si sarebbe attenuto a quanto contenuto nella mappa presente in provincia, anch'io, adito dai Galillensi che affermavano che la copia non era ancora pervenuta, ho concesso loro tempo fino al primo di febbraio, rendendomi conto che a questi proprietari avrebbe fatto comodo un'altra proroga, ordino che i Galillensi, entro il primo giorno d'aprile, si ritirino dai territori dei Patulcensi Campani che hanno occupato di prepotenza senza averne alcun diritto. Qualora essi non siano disposti ad ubbidire a questo decreto, sappiano che saranno condannati alla pena che molte volte è stata loro prospettata per il ritardo eccessivo.
Segue l'autenticazione di Gneo Pompeo Feroce, L. Aurelio Gallo, M. Blosso Nepote, C. Cordo Felice, L. Vigellio Crispino, C. Valerio Fausto, M. Lutazio Sabino, L. Cocceio Geniale, L. Plozio Vero, D. Veturio Felice e L. Valerio Peplo. (...)

(...) Sottolineo che questo importantissimo documento storico, assai rilevante sotto il profilo amministrativo, giuridico, linguistico, geografico ed epigrafico, è una delle rare testimonianze scritte a noi pervenute che ci illustra con abbondanza di dati e di particolari la situazione delle popolazioni Sarde in epoca imperiale romana, comfermando, tra l'altro, per la prima volta, la presenza di Otone sul trono di Roma. Infatti la data del 18 marzo (dell'anno 69 dopo Cristo) si riferisce ad un mese e due giorni anteriori alla morte per suicidio dell'imperatore tiranno dopo la sconfitta di Bedriaco presso Cremona. Inoltre la tavola di bronzo trovata nell'agro di Esterzili illumina le vicende di un periodo di lotte feroci e sanguinose fra le tribù dell'interno dell'isola, rivela in pratica uno stato permanente di guerriglia, di sconfinamenti e di razzie, spiega la funzione dei governatori romani e fornisce altresì interessanti particolari burocratici e linguistici.
Mi pare che ci indirizzi nell'individuazione della sede dei Galillenses che, a mio parere, era proprio sull'altopiano di Orborèdu, sulla piana ai piedi del massiccio del monte di Santa Vittoria, dove ancora oggi si possono osservare le rovine dell'abitato romano, chiamato dai locali Cea de Idda (ossia il pianoro della villa o oppidum romano), quella valle pianeggiante dell'abitato ricchissima di avanzi archeologici che ne attestano l'importanza e fanno pensare a questa località come sede delle turbolente tribù dei Galillensi, sempre in agitazione contro le genti della pianura e delle colline delle valli del Flumineddu e del Flumendosa e delle
fertili terre della ricca area dei Campidani.
L'atteggiamento dei pastori montanari dell'area povera di risorse contro le popolazioni delle fertili e ricche terre del sud-est dell'isola ha origini remotissime e conserva ancora oggi la tradizione di fastidio e di sconfinamento legata alla pratica abigeataria. D'altronde ancora durante i secoli XIV e XVI, stando a quanto hanno registrato i parroci di questa zona nei libri parrocchiali che hanno raccolto le cronache delle comunità dei nostri villaggi, gli abitanti del territorio vicino al luogo dove è stata rinvenuta la famosa tavola di bronzo avevano conservato lo stesso carattere irrequieto di violenti invasori delle aree confinanti. Infatti nell'anno 1358 il villaggio di Lessèi (ora scomparso nell'agro di Ulàssai) pagava i diritti feudali ai baroni della Curatoria o Incontrada della Barbagia di Seùlo, i quali avevano guidato un'invasione di pastori esterzilesi per occupare il territorio al di là del rio Flumineddu. Inoltre, come si legge nel "libro de todas las gracias", risalente agli ultimi scorci del dominio catalano-aragonese, nel maggio del 1580 i capi delle comunità dei villaggi dell'Ogliastra, riuniti in parlamento a Tortolì, chiesero l'intervento del conte di Quirra per riavere i salti di Paùli usurpati alla comunità di Ulàssai dai pastori-predoni di Esterzili in azioni violente. E questi episodi si ripeterono sino alla fine del secolo scorso provocando scontri, liti furiose, contese violente, spargimento di sangue e molte vittime Mi pare che non si debba cercare d'individuare altrove la sede dei Galillensi, ma, alla luce di queste considerazioni, ci si debba soffermare proprio in quest'area barbaricina, tra l'Ogliastra, il Gerrei e la Trexenta. Nella grande mostra nazionale di Italia 1961 a Torino, ad esaltazione della civiltà italiana nel centenario dell'unità, in rappresentanza del meglio dei beni culturali della Sardegna, fu esposta anche la tavola di bronzo di Corti 'e Lucetta, un documento rilevante che getta luce sulle nostre vicende lontane.

tratto da "Mastino A. Atti del convegno 1993"

martedì 17 agosto 2010

Sindia rivoltosa!





Dall'alto dell'antico Nuraghe i Sardi rivoltosi osservano gli spostamenti dell'esercito romano in transito lungo la vallata.
Oscure figure ammantate di pelli stringono le lance nervosamente, pregustando la battaglia contro l'odiato invasore.


Dopo un lavoro di "pulizia" alcuni milites romani portano un giovane catturato nel vicino villaggio.
Le condizioni sono chiare, o i rivoltosi accettano le condizioni e depongono le armi, o il giovane verrà crocefisso.
A malinquore, il capovillaggio gli urla contro di tornare da dove sono venuti. Eppure sa che pronunciando quelle parole condannerà suo figlio.
I milites eseguono la crudele condanna impietosamente. Scherniscono il giovane morente mentre le donne del villaggio si avvicinano per piangerne il corpo ormai privo di vita.
Con il cuore gonfio di rabbia i Sardi decidono di attaccare. Una parte di essi frontalmente, mentre un gruppo più piccolo decide di aggirare i soldati alle spalle, ove la formazione è più vulnerabile.
Mentre le schiere si muovono, il Centurione della Coorte seconda di Sardi, Quinto Valerio Orca, nota dei movimenti sospetti nell'oscurità, ed ordina un rotate della Cohors.
Strenuamente, i milites cercano di reggere gli insidiosi attacchi dei Balari, ma il terreno infido sparpaglia la formazione, creando dei pericolosi varchi.
Molti milites cadono a terra, obbligando i comandanti ad una ritirata strategica.


Vengono recuperati i corpi di entrambe le fazioni,
Infine i Romanos sfilano sotto le armi dei Sardi.

La manifestazione è finita.




Lessà
Sindia 08-08-2010.



Sito della pro-loco di Sindia.
http://prolocosindia.myblog.it/archive/2010/05/03/cortes-apertas-2010.html

Gallery della pro-loco riguardante l'evento.
http://prolocosindia.myblog.it/album/milites-invicti-8-agosto-2010/page1/

lunedì 17 maggio 2010

AD SIGNA MILITES: considerazioni del dopo manifestazione


Nei giorni 08 e 09 maggio 2010 il gruppo storico di Sardinia Balare ha partecipato alla manifestazione "Ad Signa Milites" in località "La Crucca" nei pressi di Sassari. Il luogo della rievocazione comprende la ricostruzione di un forte Romano del I secolo e di un villaggio Sardo della medesima epoca. La manifestazione, organizzata dal gruppo "Legio III Augusta" comprende la più grossa battaglia rievocata in Sardegna del periodo Romano, oltre ai Balari hanno partecipato i gruppi della "Secunda Sardorum" di Cagliari, della IV Flavia e di Gianni Cannas sempre di Cagliari. All'interno della manifestazione, oltre all'attesa battaglia, vi sono stati sketch teatrali, esempi di vita di campo, combattimenti di gladiatori, danze.
I Balari, oltre a partecipare all'attività didattica con bambini e ragazzi delle scuole, nelle mattine di venerdì e sabato sono stati presenti in ogni ambito della manifestazione. Il clima amichevole ha fatto si che tutto si svolgesse in serenità e in linea con le nostre migliori intenzioni.

giovedì 19 novembre 2009

BALARES: chi erano?

Sardinia Balare, come dal nome, fa riferimento al popolo dei Balari, antica etnia che abitava il nord Sardegna. Nostra intenzione è rievocare, tramite ricostruzione di riti, battaglie, vita in villaggio o campo, la vita di questo popolo indigeno all' epoca delle guerre puniche. Il periodo che intendiamo rievocare va dal VI al I sec. a.C. detto dagli studiosi Sardi di pensiero Lilliano V nuragico.

CENNI STORICI

Questo periodo ( VI - I sec. a.C. ) vede in Sardegna, un presenza punica forte e avanzata, ma già culturalmente integrata allo stesso tempo. Così i cartaginesi residenti in Sardegna sono definiti sardo punici, cioè punici di cultura ma Sardi di origine. Il sud e i principali porti sardi sono in mano ai cartaginesi che controllano le vie di accesso al mare in tutto il sud costiero della Sardegna, comprese le miniere del Sulcis dove sfruttano manovalanza indigena per l' estrazione dei minerali. Anche parte dell'interno, intorno alle città e i porti, è in mano ai punici dove tra il V e il IV secolo a.C. erigono mura difensive per opporsi alle popolazioni bellicose Iliesi e Balaresi. Le zone interne in mano ai cartaginesi erano divise in latifondi dati in mano a nobili sardo punici, in cui lavoravano anche genti indigene. Molti sardi indigeni combatterono con i cartaginesi come mercenari e si arruolavano negli equipaggi, favorendo così lo scambio culturale e l' integrazione. Nonostante questo, ben lungi erano i sardo punici da domare le popolazioni dell' interno, e, anche tra i sardi delle zone tributarie le rivolte erano frequenti. Nel 368 AC ci fu una grossa ribellione che fu sedata solo dopo diverse campagne militari.

Nel nord Sardegna, invece, i cartaginesi erano meno presenti. In questo territorio, infatti, a parte Olbia, i punici si spinsero sulla costa fino ad Alghero e Dorgali solo nell' ultimo periodo di espansione. Nell' interno invece Padria, Bonorva, Bolotana e Sedilo costituivano il limes coi popoli balaresi. L' unico porto punico imponente nel nord sardegna finora provato al nord è Olbia, e si sa che i cartaginesi erano alleati dei corsi, antica popolazione della gallura, rimasta tuttavia indipendente fino all'arrivo dei Romani. Al di la di quello dei corsi si estendeva il territorio dei balari, popolazione probabilmente da accostare a quei sardi pelliti cui ampsicora chiese alleanza, anche questi indipendenti e ancora forti nonostante la presenza punica. Il loro territoro andava dalla Gallura alla Nurra, compreso Limbara Logudoro e Marghine e confinava a sud- est con quello degli Iliesi e coi territori sardo punici a sud ovest.

Nonostante i punici controllassero i mari e le rotte commerciali, i Balari non lo abbandonarono totalmente e, specie nella Nurra e sulla costa nord occidentale si diedero alla pirateria. Nonostante le ostilità, indigeni e sardo punici mantennero anche relazioni pacifiche, ne sono la prova le molte monete cartaginesi trovate nei territori sardi liberi, frutto di intensi scambi commerciali. Inoltre i nativi, fin dal V secolo a.C, militavano come mercenari per i Cartaginesi, dapprima quelli delle zone conquistate o limitrofe ai loro insediamenti, poi anche genti di popolazioni interne Iliesi e balaresi, tanto che finirono per allearsi con loro (forse anche in riconoscimento di una comune identità sarda) contro i Romani.

Nel 238 a.C, alla fine della prima guerra punica, la Sardegna viene formalmente ceduta a Roma. Nonostante ciò, essa rimase fortemente filo-cartaginese. Solo successivamente alla sconfitta di Ampsicora, e alla definitiva disfatta cartaginese nel 202 a.C, i Romani poterono incominciare a prendere possesso del territorio in maniera effettiva. Ciò non fu semplice, perchè i sardo punici ribelli si rifugiarono nei territori dei loro alleati indigeni, rimpinguandone le fila e integrandosi definitivamente con essi, i quali tutt' altro erano che nazioni conquistate. Nel 176/177 a.C. Iliesi e Balari si coalizzano e attaccano i Romani, fu necessario l'intervento del console Tiberio Sempronio Gracco con due legioni e 23.000 uomini a vincerli e imporgli forti tributi.

Le ribellioni continuarono per tutto il II secolo, ultima delle quali avvenne nel 111 a.C. e fu sedata a opera di Marco Cecilio Metello, che sconfisse l' ultima alleanza. I sardi superstiti si ritirano nelle zone inaccessibili, iniziando la stoica resistenza barbaricina, ma non essendo più in grado di formare eserciti, si danno al brigantaggio nascosti tra i monti. Nonostante la conquista all'interno come in costa le ribellioni si susseguirono fino al 19 d.C, e in casi sporadici dopo ancora, ma da questa data in poi anche le zone della Sardegna non del tutto pacificate subiscono una graduale integrazione nella cultura romana, grazie anche all'istituzione delle civitas, sorta di riserve in cui i nativi potevano autogovernarsi a patto del pagamento di tributi, ma da cui, spesso, sconfinavano per razziare.

venerdì 11 settembre 2009

ASSOCIAZIONE SARDINIA BALARE

Sardinia Balare è un' associazione, apolitica e aconfessionale, che si occupa di valorizzare, tramite rievocazioni storiche, manifastazioni culturali, incontri e dibattiti, il patrimonio storico, artistico e culturale della Sardegna.


Spesso la storiografia ha relegato noi sardi al ruolo di un popolo conquistato, oppure, sebbene resistente, barbaro e incivile.
Ora è il momento di riprenderci l'identità che ci appartiene, senza filtri e senza inganni, dai nostri stessi antenati che ci parlano tramite l' eredità che han lasciato.

Un' eredità antica di millenni arrivata fino a noi, tramite la musica, la danza, rituali, di cui v'è traccia nella nostra lingua, nella nostra società, nella nostra mentalità, nelle storie che "sos Tzios" raccontano.

Millenni fa in cui i sardi costruivano nuraghes, statue ciclopiche e santuari, che ancora adesso impregnano l' isola di fascino e magia, vestigia di una cultura che univa tutti i popoli indigeni della Sardegna. Periodi in cui, lottando, i nostri antenati hanno tentato in tutti i modi di salvare il loro mondo basato sul rispetto dell' equilibrio tra gli elementi.

Parliamo quindi di Balari, Iliesi, Corsi e tutti quei popoli, discendenti dai Sardi Nuragici e nostri antenati, che hanno epicamente resistito all' avanzata di Punici prima e Romani poi, per regalarci, a noi loro figli, il patrimonio artistico - culturale unico al mondo che ancora ci appartiene.